GLI ULTIMI PASSI
Sono le 2.30 di notte, non ha neanche senso specificare di quale giorno perché ormai tutti si equivalgono. Poco fa mi stavo girando e rigirando nel letto nella speranza di addormentarmi, ma niente. Eccomi di fatti davanti ad uno schermo, impegnato a schiacciare dei tasti a caso con l’intento di comporre delle parole che lette, una dopo l’altra, possano ritrovare un senso. E’ tutto così strano: la quotidianità è stata completamente travolta da una ricerca di emarginazione sociale doverosa per far fronte all’espansione dell’ormai noto e famigerato Covid-19. Siamo obbligati a restare chiusi in casa limitando le uscite alle sole situazioni di necessità riconosciute dai provvedimenti attuati, dimenticando piano piano com’è il mondo là fuori. È passato molto tempo, ma sembra sia stata ieri l’ultima volta che leggiadramente camminavo per le stradine
pavimentate del centro storico.
Era l’11 marzo, il decreto che ha chiuso l’Italia intera era già stato firmato uno o due giorni prima e, approfittando della necessità di andare in farmacia, decisi di fare quattro passi, con la consapevolezza che da quel giorno in poi avrei dovuto rinunciare, almeno per un bel po’, a una buona parte delle mie abitudini che avevano come cornice del loro svolgimento proprio il centro urbano. Ero solito, ad esempio, frequentare le biblioteche, da me considerate veri e propri templi dello studio, dove l’immaginazione e la concentrazione trovavano sempre la loro giusta dimensione, favorendo l’apprendimento e stimolando l’intelletto. Però era altrettanto consueto, tra un argomento e l’altro, ritrovarmi seduto al bar, da solo o in compagnia, per ricaricare le pile degustando un buon un caffè e per arieggiare la mente facendo due chiacchiere o leggendo il giornale. Proseguendo la mia passeggiata, provavo una strana sensazione dinnanzi a una città così spoglia e caratterizzata da una quiete assordante. Le persone che incrociavo erano poche, ma non mancavano all’appello genitori coi propri figli, coppie di giovani o anziani, oppure padroni coi propri cani a passeggio.
Tuttavia, sembravano tutti essere in uno stato di fermo assoluto, come se il tempo si fosse stoppato per un attimo e l’unico a muoversi fossi io. Tutto ciò era altresì la raffigurazione di un quadro stupendo. C’era un sole meraviglioso, il quale, attraverso i suoi raggi che rimbalzavano sulle superfici, mostrava scorci di palazzi e angoletti mai notati prima di allora. I colori che dipingevano il tutto erano di una nitidezza spettacolare, tipica dell’avvento della primavera che ormai era alle porte. Vi era pure un leggero venticello che, percorrendo le incanalature formate dalla disposizione dai palazzi, soffiava dolcemente fino ad accarezzarmi le guance, rinfrescandomi tutto il viso.
Prima di congedarmi dalla città vecchia, decisi di salire fino alla piazzetta del castello, in modo tale da assaporare quel panorama ampio che si affaccia su tutta la zona urbana, come per l’ultima volta. Forse per la prima volta sono riuscito ad arrivare in fondo alle gradinate senza alcun lamento. Una volta su, ho fatto qualche passo sull’erba verde, dopo di che mi sono seduto su una panchina e mi sono acceso una sigaretta, in attesa che il sole iniziasse a calare. Non sono riuscito a vedere tutto il tramonto ma, ad una certa, il cielo ha iniziato a tingersi di un color arancione fiamma che si mescolava beatamente con l’azzurro fiordaliso del crepuscolo che man mano avanzava al calar del sole.
Dan Suciu, nasce il 19/09/98. Diplomatosi al Liceo scientifico Marinelli è ora impegnato nel conseguimento della laurea triennale in scienze matematiche all’Università degli studi di Udine.