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La donna, il mercante, l’isola

di Letizia Rigotto

E avvenne che, imbattendomi all’improvviso in un’iscrizione, vi lessi in caratteri latini:

HIC PULCHRA PUELLA IACET
A POPULO NATA VULGO VENDITA

E non capendo bene che cosa significasse, poiché non c’erano immagini o indizi che altro rivelassero, scrissi al mio caro amico, Francesco da Casalminiato, che mi rispose così come ho riportato di seguito.

   Amico mio, Giovanni carissimo,
onorato e ringraziandovi di avermi scritto, dovendo voi reputarmi adatto a una risposta che vi soddisfi, sono ben lieto di potervela offrire.
   Ero infatti non molto tempo fa nella stessa città, attirato dalla ricchezza e dai racconti di altri studiosi che, come voi, volevano vedere ciò che avevano sentito. Come loro, anche io mi ritrovai a perdermi per le cupole e i campanili, condotto da uomini dotti che ogni ponte, ogni arco, ogni pietra me la spiegavano e illustravano. E di queste cose devi sapere che nessuna parla o è di quel luogo, ma tutte sono state come per caso ritrovate e riutilizzate, così che camminando non apprendi la storia di quella città, ma di altre.
   E lì vi approfondii di cose conosciute e ne scoprii di altre sconosciute: della cariatide perduta di Atene, che rividi come trave di sostegno in una falegnameria; della tomba del cavalier Galiano di Bornermont, che giunse all’estremo sud del pianeta per riscattare l’onore suo e del suo re; dell’arco di Claudiano, che, costruito sulle spiagge della Cina, fu portato via fino a quei luoghi da una tempesta.
   E ogni cosa che vedevo mi veniva mostrata e raccontata: e vidi un’urna che dicevano contenere le reliquie di Mosè; e vidi una teca in cui si mostrava una ciocca di capelli neri di Elena di Troia; e vidi uno dei bracciali di Visnù che, cadutogli dal polso, era stato ritrovato da un pescatore fra le maglie delle sue reti; e vidi scaffali e scaffali di libri in lingue e alfabeti che mai avevo visto prima e che non erano ancora stati capiti e tradotti.
   E fra le strade e le piazze di quella città, che sembra attirare tutto ciò che si credeva perduto e tutto ciò che non è ancora stato trovato, mi imbattei in quella stessa iscrizione che tu hai visto e, chiedendo alla mia guida la storia, questa così mi rispose.

   Si narra che un giorno, su un’isola sperduta in mezzo al mare, nacque una donna, e che questa donna fosse talmente bella che chi la guardava o era guardato non era più in grado di desiderare altro. La bella donna, passando in silenzio per le strade, volgeva lo sguardo su ogni persona le venisse incontro, così che tutti si toglievano il cappello e abbassavano gli occhi, sentendosi scrutare da quella fin dentro l’anima.
   Si narra che la bella donna fosse anche gentile, e che mai negasse aiuto o conforto a nessuno, e a tutti dedicasse il suo tempo quanto ognuno ritenesse opportuno, con carezze o con semplici sorrisi. In tanti erano quelli che raccontavano che le loro peggiori sciagure scomparivano e si facevano piccole piccole, se solo gli occhi di lei si posavano su di loro; in tanti erano quelli che, visti uscire piangendo e minacciando la morte, rincasavano felici per il solo averla vista passare.
   E la bella donna né confortava né giudicava, e dalle sue labbra non solo non uscivano parole di sconforto, ma non uscivano parole affatto, così che chi le parlava e chiedeva, parlava e chiedeva a sé stesso, e a sé stesso rispondeva.
   Avvenne un giorno che sulla spiaggia dell’isola naufragò un mercante. Questi, piangendo miseria e lamentando di aver perso tutto, venne condotto dalla bella donna, la quale, come per tutti gli altri, altro non fece che guardarlo in silenzio e sorridergli.
   E il mercante pianse e pianse per giorni, e per giorni la bella donna lo stette ad ascoltare. Questi, smesso di piangere, si sentì come risollevato nell’anima per la sola presenza di lei: sapeva che nessun’altra avrebbe potuto dargli quello che lei gli aveva appena dato, così che decise che lei lo avrebbe sposato.
   
Così il mercante sposò la bella donna e, fra banchetti e cerimonie, fra discorsi e brindisi, per giorni interi altro non si fece che festeggiare la nuova unione e, mentre il mercante se ne andava in giro tutto intento a stringere mani e a batterle sulle spalle, la bella donna se ne stava sempre in silenzio, trascinata a farsi guardare.
   
E così passarono tre anni, durante i quali il mercante altro non fece e altro non volle che ammirare e far ammirare la bella donna, mentre mangiava e mentre dormiva, che ogni cosa che faceva sembrava renderla ancora più bella.

   Accadde però un giorno che il mercante, svegliatosi e recatosi sulle banchine, vedendo una nave passare sull’orizzonte lontano, sentì la nostalgia dell’antico guadagno. Tornato dunque a casa e inginocchiatosi davanti alla bella donna, le chiese consiglio su cosa fare e su come spegnere quel desiderio. E quella, come aveva sempre fatto, se ne stette in silenzio a sorridergli: per giorni stette ad ascoltarlo narrare dei suoi viaggi e delle straordinarie merci e di tutte quelle cose dalle quali era riuscito a trarre grande ricchezza. E mentre le parlava, il mercante si ricordò di tutto il bene che la bella donna era in grado, solo con la sua presenza, di fare non solo a lui, ma a tutta l’isola, così che pensò bene che la prossima cosa da cui sarebbe riuscito a trarre guadagno sarebbe stata proprio la sua bella donna.
   
Ogni giorno, infatti, da quando era naufragato sull’isola, vedeva che in centinaia si recavano davanti alla porta di lei per chiedere consiglio, e che mai nessuno ne era uscito deluso. Corso dunque da un artigiano, gli commissionò una targa in marmo che così recitava:

Per un consiglio infallibile
Un dono impagabile
Che mai prima fu visto
E che mai più lo sarà

e la fece affiggere sulla sua porta.
   E avvenne così che, come ogni giorno, davanti alla porta si radunò una fitta folla e che ognuno portava – in tasca, sotto al braccio, in una sacca o in una carriola – un dono sempre diverso, sempre più ricco e sempre più raro.

   Il mercante, seduto su una poltrona davanti all’entrata, esaminava tutto ciò che gli veniva posto davanti, e non poche volte accadeva che negasse l’udienza a causa di un regalo troppo semplice e modesto, così che c’era chi riusciva a entrare e chi era costretto a tornare indietro a mani vuote.
   E si vedevano gioielli e fiori, e sete e ori, e scarpe e mantelli e monili da riempire dieci cortili, e pietre e piante, da Occidente e da Oriente, stipati su navi e vascelli, che mai nessuno ne avrebbe saputi indicare di più belli.
   E ancora, così tanti che parevano miraggi, frutta e verdura e formaggi, e vini e carne e pescato, più di quanto in dieci vite qualcuno avrebbe mangiato; e reliquie di santi, e capitelli di templi, insieme a dipinti e animali che si credevano estinti; e manoscritti introvabili e pergamene indicibili, e statue antiche e piramidi azteche: tutto passava davanti allo sguardo del mercante, che decideva se accogliere o meno la gente.
   Così la bella donna si fece merce in cambio di merce, e ognuno in silenzio guardava, ma a sempre meno in silenzio sorrideva. Il mercante, dal canto suo, accumulava sempre più ricchezze, che non solo non sapeva più riconoscerle, ma non sapeva neanche più dove metterle.
   Andò quindi da quello stesso artigiano e commissionò un’altra targa, questa volta di legno, la quale diceva:

Per un consiglio infallibile
Ad un prezzo abbordabile
Cinque pezzi d’oro al secondo
Che raddoppiano dopo il tramonto

e la fece affiggere sulla sua porta.
   Avvenne così che i visitatori – ormai più forestieri che isolani, poiché la fama della bella donna si era estesa alla terraferma e a tutti i continenti – sbarcando con le tasche ricolme d’oro, tutto lo riversavano in quelle del mercante. E questi tanti erano che, disponendosi in fila davanti alla porta, ogni strada riempivano e bloccavano, fermi per ore ad aspettare.
   
Il mercante, sempre fermo sulla sua poltrona, vedendo quelle grandi e ferme masse, ebbe dunque un’idea: assunse duecento uomini i quali si occupassero di vendere cibo per la fame e acqua per la sete, e per il sole cappelli e per il freddo cappotti, così che erano più i soldi che il mercante guadagnava da questa vendita che da quella della bella donna. 
   
E non solo a questo si fermò, sapendo che l’essere umano ha bisogno di averi che provino ciò che ha vissuto, che troppo poco pare serbarlo solo nella memoria: il mercante si mise allora a vendere tutto ciò che la bella donna possedeva e aveva toccato, e anche ciò che di questa non era mai stato per tale veniva spacciato.
   
Così quegli stessi duecento uomini presero a vendere le sue spille e i suoi orecchini, fino alla biancheria e ai calzini, e i suoi merletti e posate, anche quelle che mai erano state usate, e le coperte, i cuscini e le lenzuola, senza che la bella donna dicesse mai una parola.
   
Ma ancora di tutto ciò il mercante non era contento, poiché sapeva che molto più guadagno avrebbe tratto, se solo l’isola fosse stata più facilmente raggiungibile e non così lontana dalla terraferma.
   
Avvenne così che un giorno, mentre il mercante se ne stava seduto a guardare il mare, girando lo sguardo verso destra, vide una barca lunga e piatta manovrata da sei uomini in piedi.
   
Questi, coi piedi incastrati in mezzo alle reti da pesca, si spostavano sulle gambe avanti e indietro e con un deciso colpo di remo mandavano avanti la barca, così che questa sembrava andare al doppio della sua velocità con la metà della fatica.
   Il mercante, quindi, tirato un urlo ai pescatori e chiesto loro di fermarsi, domandò come facessero a muoversi con tanta agilità e se potessero insegnargli la loro tecnica. I pescatori, guardato il mercante, sentito che questi non era del luogo e consci della sua grande ricchezza, risposero che la loro tecnica non era certo facile da imparare e che gli sarebbe costato molto tempo e denaro per apprenderla alla perfezione.
Il mercante accettò la proposta e a grandi spese fece addestrare migliaia di uomini perché imparassero a remare così come aveva visto fare ai pescatori.
   Dopo un anno, pronti i rematori, una notte li fece mettere tutti intorno all’isola e, imbracciati i remi, diede loro l’ordine di remare verso nord, così che alla mattina successiva l’isola non solo non si trovava più nel luogo dov’era partita, ma si era spostata al punto che quasi toccava la terraferma e solo un paio di chilometri la separavano dal resto del continente. Fatto a questo punto costruire un ponte in pietra, riuscì a fare in modo che chi volesse vedere la bella donna potesse giungere sull’isola anche a piedi, così che i visitatori si duplicarono, triplicarono, centuplicarono nel giro di pochi giorni, come le ricchezze del mercante.
   E questi sempre lì se ne stava, seduto sulla sua poltrona, a contare, esaminare, invitare, allontanare, e tanto era preso a fare ciò che non vedeva la sua bella donna da più di due anni.
   Accadde però un giorno che, di tutte quelle persone che entravano e uscivano soddisfatte e sorridenti, una si avvicinò al mercante lamentando di rivolere i propri soldi: che certo io non pago per avere a che fare con una triste triste donna.

   Il mercante, sorpreso dalla lamentela, decise di andare a vedere con i suoi occhi cosa stesse succedendo, che certo quel comportamento non si addiceva per nulla alla sua bella donna.
   
Entrato dunque nelle sue stanze la vide lì, in mezzo alle tende in velluto e ai baldacchini d’avorio, vestita di seta e con gioielli in oro, che, seduta sul letto, teneva il volto basso. Avvicinatosile, il mercante vide che la donna non era contenta, così prese a chiederle e domandarle delle ragioni, dei modi e dei rimedi, che tutto di certo sarebbe stato fatto per farla tornare felice come un tempo.
   
E la bella donna, la cui bocca ormai sembrava far dubitare di aver mai sorriso, sempre in silenzio, nulla chiese e pretese, ma, alzato lo sguardo sul mercante, cominciò a far uscire dagli occhi copiose lacrime.
   
E nulla sembrava potesse farle cessare, né le preghiere del mercante né le ricchezze che ogni giorno le venivano offerte, né le intimidazioni dei visitatori che, entrati asciutti, se ne uscivano con i calzoni e le camicie bagnate.
   
E ogni giorno piangeva e piangeva, e pianse così tanto da bagnare lenzuola, tappeto e materasso, così tanto che l’acqua giunse fino all’ingresso. E tanto pianse e pianse che l’acqua arrivava fino alle caviglie, e ai letti e alle sedie stavano attaccate centinaia di conchiglie. Tanto pianse e pianse che l’acqua uscì dalla porta e inondò le strade, e superò il ponte fino alle contrade. E tutto ammuffiva e tutto bagnava, il pianto di quella donna che nessuno consolava, e, lasciata sola nel suo sconforto, morì senza che nessuno se ne fosse accorto.
   Solo il mercante le restava vicino, temendo che, con la morte della bella donna, cominciava anche il suo declino. Ma guardandola piangere, e solo lacrime emettere, cominciò a poco a poco a riflettere: che certo qualcuno per quelle lacrime avrebbe pagato, e che lui si sarebbe doppiamente arricchito.

   Altro non si sa delle sorti della città, se sia risorta o sprofondata sotto le lacrime della bella donna. Alcuni dicono che le strade siano ancora piene di persone che, urlando e sgomitando, cercano ovunque il mercante per vedere la bella donna, come se non si fossero mai accorti della sua morte. Altri dicono che la notizia è risaputa, ma che poco interessa ai visitatori, i quali continuano ad arraffare i beni reali e presunti che a questa appartennero e a raccontare di averla vista.
   Si conosce invece la sorte del mercante, che, forse pentitosi delle sue azioni, forse infin annoiato, decise di prendere il mare e non fare più ritorno all’isola che aveva condannato. Con sé si era portato il suo denaro e quella piccola lapide che tu ammiri ora, ma, rendendosi conto del peso eccessivo, aveva deciso di liberarsene e gettarla in mare. E altro della donna non si sa, né del nome né dell’età, ma solo che questa, nata dal popolo, fu a questo venduta.

Letizia Rigotto ha studiato le Lettere a Venezia e a Roma. Da anni parla, scrive, produce cose varie e dalla dubbia utilità. Quando le mancano Catone e Romeo, guarda video di gattini.