Racconto selezionato nella call per racconti collettivi della quarta stagione de La Seppia
di Maria Teresa Renzi-Sepe e Giorgio Papitto
Alla fine si stacca dalla carne. Si separa dall’ultimo e fragile lembo di epidermide, dopo una vita insieme. La pelle rossastra, la pelle al sole. Lo spazio creato è un corpo formidabile, un cumulo fitto di sporcizia. Un mucchio di giorno in giorno più denso.
– Ricrescerà? – chiede lui.
L’unghia è ora un solido nella sabbia. Emerge come una punta dai sedimenti giallastri, una reliquia accanto ai piedi affossati. Verticale come stare in piedi di notte a guardare le falene sui vetri e i moscerini brillare.
– Ti ricordi quando nonna è morta? – risponde lei con gli occhi sull’unghia. Il suo piede una sfinge tra le dune.
Lui annuisce poco convinto.
La scapola di nonna si è staccata, è caduta diventando una reliquia tra le sue membra. Quando è morta abbiamo fatto una festa. Noi giocavamo lontano dai grandi. E abbiamo rotto il vaso di gerani rincorrendoci in balcone. Venne fuori uno sciame di moscerini dalla terra. Ne avranno trovata un’altra, di casa. Un’altra massa nella terra.
– Le cose rotte non ricrescono – dice lei.
Le cose nascono in altri luoghi, oppure qui ne nascono di nuove. La terra e i corpi sono come dei recipienti molli. Ospitano e costruiscono spazi. Fintanto che le ossa non comprimono il midollo. Fintanto che tra le radici c’è spazio.
– Allora facciamo una festa – conclude lui.
Accendiamo ceri e cantiamo. Godiamoci il sole di agosto e spingiamo l’unghia in fondo, nella sabbia. Mangiamo il gelato e poi ci rincorriamo fino a riva. Sott’acqua i nostri corpi si espandono, le nostre pelli diventano verdi. Lo sporco diluito sarà cibo per le vongole.
Quando emergiamo fuori è già blu-arancio. La sabbia ispira, espira. È marrone se la calpestiamo. Noi insieme siamo una preda che annaspa e dimentica. Questo sembra il giorno più bello della nostra vita. Le cose possono solo cambiare colore.
Maria Teresa Renzi-Sepe e Giorgio Papitto
Siamo diventati amici in una Lipsia pre-pandemia e da allora non ci siamo più lasciati, anche se adesso viviamo in due cittá diverse. Collaboriamo a diversi progetti letterari, e la call di racconti collettivi ci è sembrata un esperimento interessante. Per la storia, abbiamo proceduto cosí: abbiamo scelto due parole chiave a testa, dalle quali far nascere spontaneamente il racconto. È nata una storia che ha avuto tre versioni e poi una quarta, finale, in cui abbiamo miscelato lo stile poetico e crudo di Giorgio a quello narrativo e sospeso di Maria Teresa.