di Giulia Troian
Siamo rimasti davanti al mare, tra gli sbuffi di fumo e le chiacchiere leggere, finché le temperature ce l’hanno permesso, poi, avvolti in larghi maglioni di pile, ci siamo avviati verso il casone. Il piccolo sentiero verde e grigio andava dritto verso il mare, per poi svoltare a destra, e tu avevi il privilegio di camminare con davanti agli occhi l’arancione di un tramonto sull’acqua. Aperta la porta un bellissimo profumo ed una tavola imbandita a regola d’arte, che subito mi rimembra che il nonno di Samuel è stato cameriere. Al centro di quel tavolo, con tanto di doppie posate, spicca un maestoso candelabro su cui la nonna ha da ridire perché, per lei, degno di un cimitero. Mi siedo affamata e inizio ad addentare i crostini all’aglio, quei crostini che restano sul tavolo non più di cinque minuti, mentre mi culla Bruce Springsten che esce da quel grande e malfunzionante stereo e sorrido, sorrido perché l’accoppiata buon cibo e buona musica non può far altro che strapparti uno di quei grandi sorrisi di beatitudine. L’attesa della pasta è condita da suo nonno che è anche un cantastorie, di quelle veriste, col dialetto calato troppo spesso nei discorsi eppure mai fuori luogo, alcune sono storie di fantascienza ma lui dice che è soltanto racconto di un futuro molto lontano, un futuro che loro due probabilmente non vedranno mai. Lo dice con gioia, la stessa che su quest’isola ora accomuna tutti, una gioia di chi davanti non ha molto e, proprio per questo, gioisce dell’attimo che ha la fortuna di vivere. Non si fa molto qui, oltre a mangiare, camminare, guardarsi attorno eppure si vibra di felicità per poco, bastano delle belle parole, ben calibrate, piacevoli d’ascoltare, basta uno sguardo alla natura, bella e selvaggia, al punto che hai quasi paura di rovinarla con la tua presenza imperfetta.
La mattina si fanno abbondanti colazioni sui tavoli all’aperto, quelli un po’arrugginiti, quelli con la pittura scrostata, e si gusta, assieme ai dolci fatti in casa, la quiete dello spazio aperto. Sono arrivati anche dei turisti, col passare delle ore, ed hanno condito l’atmosfera con composte risate, lasciando intatto quel clima di pace. Abbiamo mangiato a pochi metri da loro, interagito con loro.
“Ana, quanto te manca?” è la voce che ogni tanto interrompe la calma, ma solo apparentemente. E’ il nonno di Samuel, sempre indaffarato con qualcosa, che chiede alla moglie a che punto del lavoro, di qualsiasi lavoro si tratti, sia arrivata, per poi lamentarsi qualsiasi sia la risposta. Eccolo infatti che sbotta rabbioso: “Diese minuti?!” ma lei non perde la calma, non la perde mai. Assisto alla scenetta e poi guardo Samuel, a qualche metro da me, intento a preparare la tavola, anche lui con alle spalle un’esperienza da cameriere, seppur breve rispetto a quell’uomo, ed è subito sorriso implicito. Amiamo entrambi quello che sa di vero, a volte anche di vecchio, eppure per ossimoro contiene più vita di quanto ti immagineresti. Sono per essere senza confini e questo mare è adatto a me, pertanto bramo di non tornare più a casa, di restare sotto questo caldo sole, stesa sopra questa panca che sa di vernice, mentre sua nonna pulisce le verdure che ha raccolto questa mattina, quando noi ancora dormivamo beati, in quello scomodo letto. Il tempo scorre lento, non succede molto, eppure l’animo non cessa di muoversi, di assumere nuove e straordinarie sfumature, di lasciarti appagato anche solo fissando il nulla. Ci sono piccolo bisticci, qualche scambio di battute, che scombussolano leggermente l’aria, ma paiono imbastiti soltanto per strappare un sorriso, oppure la pace è tale che la guerra, in questo angolo di paradiso, non riesce a sorgere.
I pasti scandiscono le giornate e neanche hai il tempo di sparecchiare che è già ora di sedersi di nuovo a tavola, vola la mattina come vola la sera, eppure hai l’impressione che non stai buttando tempo ma che anzi lo stai guadagnando, così come hanno imparato a fare questi due signori sulla settantina che si guardano con comprensione, non gettando via dalla vita neanche una briciola.
Ho i capelli arruffati, i piedi ancora sporchi di melma e il sole brucia, brucia sopra i miei vestiti scuri, facendomi desiderare di non averceli, così da essere ancora più in contatto con quella natura che sento troppo lontana da me, anche quando mi si spalma sulle iridi, come ieri notte, notte di stelle e tentativi di comprenderle. Storie di pescatori, raccontate davanti ad un piatto di pasta col pesce e un buon bicchiere di spumante, stappato per l’occasione. Le bollicine riescono a condire con un po’ di magia quasi ogni situazione, ed è per questo che le bevo con piacere, perdendo il conto dei bicchieri che le contengono.
Giulia Troian nasce a Monfalcone nel 1998 e cresce a Grado. Ha conseguito la maturità al liceo Dante Alighieri di Gorizia e attualmente frequenta la facoltà di Lettere, indirizzo filosofico, presso l'Università di Udine.