di Chiara Ercolini
Sara stava incollata al televisore: qualche giorno prima era stata annunciata da tutti i mezzi di informazione la ritirata dell’esercito del Mare Interno dalla Repubblica Volpista a seguito di durissime proteste che, nel regno, avevano paralizzato tutti i settori e avevano fatto temere al re un colpo di stato. Il ministro Melevis era stato scarcerato e l’esercito aveva ottenuto il permesso di rientrare in patria non solo per occasionali licenze: gli alleati di Haman, dopo la scoperta di un ordigno del Frençe nella capitale aderay, se ne andavano.
Sara, ancora una volta sola perché suo marito era in viaggio d’affari a Bojlian, aspettava, come probabilmente molti altri, l’inizio della pubblicizzatissima intervista al generale Hadiby da parte della Rar, la radiotelevisione rosslanita. Il partito di Maragat non era più in testa nei sondaggi per le prossime elezioni ma probabilmente almeno questa volta il segretario avrebbe preso di nuovo il potere. Il dopo non lo conosceva nessuno e, nel caso in cui il governo fosse passato all’opposizione, che guadagnava sostenitori ogni giorno che passava, la guerra ai volpisti si sarebbe avviata alla sua conclusione. Dopo un vero e proprio genocidio.
“Buonasera a tutti! Ci troviamo qui con il generale Klarydon Hadiby, comandante in capo dell’esercito del regno del Mare Interno.” La voce acuta del giornalista che avrebbe intervistato, in un locale di Bal-Hessam,
opportunamente blindato per l’evento, Klarydon Hadiby ruppe il flusso di pensieri della donna e lei si concentrò sul programma e non più su tutta la situazione che la circondava.
“Buonasera, signor generale.”
“Buonasera.”
“La prima domanda che volevo rivolgerle è: perché lei si è tanto battuto per ottenere il ritiro
delle truppe da Libèrta?”
Sara si sollevò dalla sedia indignata. Possibile che non riuscissero a chiedere null’altro a quel pover’uomo che aveva già ripetuto milioni di volte il suo punto di vista?! Si divertivano davvero così tanto a torturare chi aveva un’ideologia diversa, per poter cercare il pelo nell’uovo, scansando la trave nel loro occhio, per tentare di catturare ancora una volta i voti di chi li guardava?
Molto probabilmente avrebbero ottenuto il contrario di quello che si erano prefissati: sentire il generale Hadiby, che, coi suoi soliti modi spicci, schietti ma educati, parlava in favore della pace, avrebbe forse rivoltato una marea di potenziali elettori contro il partito unitario, che deteneva ancora il controllo della Rar.
“Come sempre, sarò assolutamente sincero con lei: io non credo che un essere umano sano di mente possa desiderare la distruzione di qualcun altro quando in una condizione di armonia, è provato, l’economia si sviluppa meglio e si riesce pertanto a raggiungere un maggior grado di benessere.”
“Quindi la Sua visione della pace è puramente utilitaristica?”
“Se la vuol vedere solamente in questi termini, è liberissimo di farlo. Tuttavia, come lei ben saprà, nel mio Paese il concetto di pace rientra in quello più esteso di zetyen, che voi in italiano chiamate “intesa” mi pare; è un valore etico, che ha una grande importanza per la gente e scandisce ogni sua regola di vita…”
“Signor generale, io non le ho chiesto cosa sia l’Intesa e cosa c’entri con la pace.”
“Allora lei non vuole parlare con me.”
Il giornalista tacque per un attimo, incerto sul da farsi: ben pochi sapevano trattare con avversari, perché molti percepivano Hadiby in quel modo, senza cadere nella monotonia delle solite cantilene della propaganda. Consapevole di tutto ciò, il giornalista cercò un’altra via per mettere in cattiva luce il suo interlocutore, che il partito unitario voleva assolutamente demonizzare.
“Che carica ricopre vostro fratello nell’esercito?”
Volevano accusare Hadiby di nepotismo! Sara si indignò: erano davvero caduti così in basso quelli della Rar da non saper più fare un’intervista seria con un personaggio di quel calibro? Questo era anche peggio della propaganda!
“La stessa che ricopriva sotto il defunto generale Melisar Talary, quella di soldato semplice addetto alle comunicazioni con la patria.”
“Ma il grado di soldato semplice nel vostro esercito è diverso dal nostro.”
Il giornalista incalzava e Hadiby sembrava non esser più troppo propenso alla diplomazia: come ogni Aderay non sopportava che venisse toccata la sua famiglia. Prese in mano il bicchiere che aveva davanti a sé e, mescolando lentamente con il lungo cucchiaino di legno, bevve un lungo sorso d’acqua senza staccar mai gli occhi azzurri e gelidi dal giornalista.
“È corretto quel che dite: il nostro esercito non ha tanti gradi come il vostro e il rapporto tra
superiori ed inferiori è molto meno gerarchizzato che qui, ma questo non vi autorizza a dire che Preven ricopra una carica solamente perché è mio fratello. Inoltre mi sembra molto scorretto da parte sua attaccare mio fratello, che pure è qui presente, quando in realtà volete attaccare me.”
Il giornalista strinse la penna tra le mani; si vedeva che era molto contrariato.
“Lei, signor generale, cosa si aspetta al suo ritorno in patria?”
“Non quel che pensa lei, signore: il colpo di stato militare non è nella mia etica, prima cosa, e inoltre credo che il potere debba essere nelle mani del popolo, quindi, se le Corporazioni vorranno eleggermi come rappresentante nel Kamhere Hare o il re vorrà avermi nel Demiara Hare 7 , ben venga, ma la prima cosa che farò appena arrivato ad Haman 8 sarà dimettermi dalla carica di generale.”
Il giornalista tacque e per un attimo un’ombra spaventata passò sul suo volto, ma forse quell’espressione era frutto di un altro sentimento.
Anche i telespettatori erano congelati davanti al televisore: Hadiby stava annunciando per la prima volta di volersi ritirare dalla carriera che lo aveva portato ad essere uno degli uomini della storia.
Poi il giornalista riprese in modo davvero poco professionale:
“Quale sarebbe il suo programma politico se fosse eletto?”
“Dipende naturalmente da che camera occuperei, ma in linea di massima spero che con l’aiuto
del resto degli organi si riuscirà a… ehm…” Un colpo di tosse, “Mi scusi, si riuscirà a riportare le funzioni delle Camere a quelle originali e a mettere il re di fronte alla Costituzione per…ehm…” Un secondo colpo di tosse “Per dimostrargli che la legge sta dalla parte del popolo e non degli autoritarismi.”
Altri colpi di tosse: non stava tossendo troppo Hadiby per essere uno che fino ad un attimo prima non aveva avuto nulla?
“Signor generale, a chi lascerete la carica dopo le vostre dimissioni?”
Il termine dimissioni, secondo Sara, aveva avuto un tono particolare, o forse era solo lei ad essere paranoica. Tuttavia, quando inquadrarono di nuovo il volto del generale, fu sicura di quel che aveva pensato poco prima: Hadiby era pallido come un morto, con gli occhi iniettati di sangue.
Tossendo sempre di più, il generale bevve un altro sorso d’acqua, senza rispondere alla domanda: guardava fisso il giornalista davanti a lui, con l’espressione di chi ha capito tutto e non dirà niente. I suoi occhi dicevano che non gliel’avrebbe lasciata spuntare.
“Signor generale?”
“Al momento non ho ancora deciso il mio successore e ad ogni modo l’esercito è capace di organizzare da sé delle elezioni: tutti conoscono i parametri che designano un nuovo generale e li seguiranno.”
La voce del generale stava cominciando a sfumare, a divenire sempre più roca.
“Lei ha una grandissima fiducia nella democrazia…” Il giornalista non finì mai la sua domanda, perché la stoccata finale giunse prima di quella a parole: Klarydon Hadiby si accasciò sulla propria sedia, con gli occhi semichiusi, il corpo scosso da continui tremori e una tosse persistente che non lo lasciava nemmeno prender fiato.
Avevano avvelenato il generale in diretta.
Un personaggio troppo scomodo perché potesse continuare a parlare: aveva già fatto troppi danni al partito unitario perché quella voce potente ed ascoltata continuasse a declamare che è giornalista chi persegue la verità ed è malato di mente chi vuole una guerra.
“Klare! Klare! Helessyvha! Klare, enyor haši! Helessyvha ehi!”(Klare! Klare! Rispondi! Klare, fratello mio! Rispondimi!) Preven Hadiby corse accanto al fratello e lo scosse, “Chiamate i soccorsi! Presto!” Una buona parte degli spettatori in diretta si era dileguata, il giornalista era lì in piedi, con il volto pallido come se non si fosse aspettato nulla di tutto questo e forse in fondo era anche vero: probabilmente stava pensando che la morte del generale sarebbe stata imputata a lui soltanto.
“Klare! Keso dhe hyedonyrho? Klare, tibesson anal ya?” (Klare! Cosa ti hanno fatto? Klare, mi senti?) Preven Hadiby prese le mani del fratello in un modo strano, ma forse era il modo che usavano nel Mare Interno per confortare i feriti e i moribondi, per star loro vicini, e prese a mormorare altre parole nella sua lingua, velocemente, sempre le stesse: probabilmente stava cercando di farsi forza provando a darne al fratello maggiore. Quest’ultimo però già si aspettavaquel destino.
“Klare…” La voce di Preven Hadiby era un singulto oramai. Non si udivano nemmeno lontanamente i soccorsi giungere.
“Prey… arè, kudassa…” Preven, ah, la repubblica! Quel vocativo singolare l’avevano capito tutti! La repubblica!
“Nakàs? Nakàs ry kudasa?” (Perché? Perché la repubblica?) Preven Hadiby tentò di sentire ancora la voce del fratello che aveva tanto amato, ma nulla. Con quelle tre parole, Klarydon Hadiby aveva detto tutto: chiuse gli occhi per sempre.
“Klare! Helessyvha ehi!” (Klare! Rispondimi!) Ma anche Preven sapeva che era finita.
Sara spense il televisore con la bocca aperta per lo stupore e gli occhi spalancati: avevano lasciato morire il generale in diretta, sotto gli sguardi di una nazione intera.
Era l’ultima goccia di quella dittatura mascherata da democrazia che si chiamava Partito Unitario. Un uomo che aveva fatto la storia era morto un istante prima davanti alle telecamere.
Quello di Klarydon Hadiby sarebbe stato un giallo storico: ry kudasa, la repubblica, ma quale repubblica? Quella che gli si era opposta con tutte le sue forze e aveva cercato di metterlo in cattiva luce fino alla fine? Oppure quella che lui, persa ormai la speranza nella storica monarchia illuminata che dava ampio spazio al popolo in patria, auspicava per la sua Klaressyria?
Preven le accusò entrambe ma anche la sua voce sparì in fondo al mare pochi mesi dopo.
FONTI
L’autore ci tiene a precisare che le fonti qui citate sono state di ispirazione per il suo lavoro e per la costruzione di alcune scene. Per quanto riguarda l’ambientazione, essa non è allegoria di nessuno scenario bellico attualmente in corso né a nessun caso intercorso in passato.
FILMOGRAFIA
Finoshina, Growing up with War: Children of Syria, The Tragedy of Kids Who Have Never Known Peace, Russia Today Documentaries, 2017
Witness: The Jungle Surgeon of Myanmar, Al Jazeera, 2014
Ossetia, I love you, Russia Today Documentaries, 2014
Al Jazeera World: Death of Aleppo, Al Jazeera, 2016