di Emma Mattiussi, Letizia Rigotto, Paolo Petrucco
Il tuo ordine Amazon arriverà a destinazione prima del giorno dell’apocalisse. Grazie per aver ordinato con noi!
Cancello anche questa mail, altrimenti esaurisco lo spazio disponibile nel cloud, e vado a farmi una tisana calda, zenzero e arancia per il raffreddore. Quando la teiera fischia, copre per un attimo il ronzio perenne dell’aria condizionata. Con quaranta gradi sul balcone e venti in casa, il mondo intero ha il naso che cola. Accendo la tv per bere la tisana, ma so che i telegiornali ormai tacciono. Di recente capito solo su programmi con pupazzi animati e su storie erotiche esplicite dalle nove di sera in poi. Sono le nove di sera e non c’è niente da fare.
Finisco la tisana e spengo la televisione. Mi decido ad affrontare il caldo di fuori. Mi alzo dal divano e riporto la tazza in cucina, nel lavello. Faccio scorrere un po’ d’acqua in modo tale che la tazza si riempia e io possa considerarla pulita. Prendo il telefono dalla tasca e provo a chiamare qualcuno con cui fare qualcosa. Il primo è Carlo: «No mi dispiace» mi dice «ho il corso di autodifesa. Sì, di autodifesa, ho iniziato a farlo dopo quello che è successo con quei ragazzetti al Lightroom.» Mi tornano alla mente le immagini di quei quattro quindici o sedicenni che hanno tempestato Carlo con una raffica di uova. Non avevano apprezzato la sua nuova salopette. Provo con Luisa: «Verrei volentieri ma non posso, da quando mio padre ha installato l’aria condizionata in salotto abbiamo riscoperto il forte legame che ci lega come famiglia. Stasera è la serata giochi da tavolo, non posso proprio abbandonarli.» Dico che capisco e metto giù. Forse è veramente impossibile fare qualcosa. Provo a chiamare Sirio, un tipo che ho conosciuto al Lightroom qualche sera fa. Si fa chiamare così nonostante sui documenti sia Alberto e la cosa mi diverte molto.
Risponde e mi dice che «Sì, posso esserci per una birra sul muretto, tanto da quando è apparso il meteorite non ho più niente da fare.» È apparso come un puntino nero e lontano un paio di mesi fa, e giorno dopo giorno è cresciuto a dismisura, lento e bucherellato dai crateri sulla sua superficie. I provvedimenti della comunità scientifica sono stati inutili, il meteorite è troppo grande, e bombardarlo a malapena lo scheggerebbe, figurarsi fargli cambiare traiettoria. Non si è potuto fare altro che annunciare la fine del mondo: avverrà, secondo i pronostici più accreditati, tra il 9 gennaio 2027 e il 15 febbraio 2028, in base alla velocità di avvicinamento del meteorite e alla capacità di resistenza dell’aria.
Sorprendentemente, la follia collettiva che ha inizialmente colto la popolazione mondiale si è estinta subito per una serena accettazione, quasi sollevante, che no, a distruggerci non sarà la bomba atomica sganciata dalla Corea del Nord, né una nuova epidemia scongelata dai ghiacciai. Non sarà il capitalismo o il Vaticano, né le tasse e gli immigrati, ma, a quanto pare, un enorme sasso spaziale apparso come un brufolo nel nostro cielo e, almeno questa volta, non si trova nessuno da incolpare.
Sul balcone mi soffio il naso e mi siedo a guardare il tramonto. È rosso e accecante anche dietro il velo di smog. Mi muovo lentamente, la tisana già sciolta in gocce di sudore sulla fronte. Non ho fretta nel portare le mani alle tasche, alla bocca: pregusto in silenzio l’ultima sigaretta.
Emma, Letizia e Paolo sono cresciuti insieme in fasi diverse della vita. Hanno forse idee simili di scrittura, ma non scrivono nello stesso modo. Nessuno dei tre si è sentito maltrattato durante la stesura di questo racconto.