Vai al contenuto

Taste of Cherry: il sapore dell’incertezza

di Maurizio Bauduino

«Mr. Badii… Mr. Badii», è questa la frase che il protagonista di Taste of Cherry – Badii, per l’appunto – chiede di pronunciare a chi decida di accettare il suo incarico: recarsi sul suo luogo di sepoltura l’alba del giorno successivo, per accertarsi che il suo suicidio si sia effettivamente compiuto. Viene pronunciata per la prima volta nella sequenza in cui Badii, sceso dall’auto per avvicinarsi al luogo che ha predisposto, fornisce le ultime indicazioni al giovane soldato curdo, nella speranza che questo accetti il compito. Per il tono con cui è pronunciata, sembra quasi una formula magica, o un verso poetico,¹ e nella ripetizione del nome proprio di cui è composta sembra nascondersi tutta l’incertezza e l’instabilità che caratterizzano sia lo stato mentale del protagonista sia il film nel suo complesso.

¹ Il legame tra il cinema di Kiarostami e la tradizione poetica persiana, densa di reticenze e simbolismi, è noto. Vedi ad esempio: Orgeron, Devin, “The Import/Export Business: The Road to Abbas Kiarostami’s Taste of Cherry,” (2002), January, 46. Ma soprattutto: Sheibani, Kh.,”Kiarostami and the Aesthetics of Modern Persian Poetry” in Iranian Studies, 39, 4 (2006), pp. 509-537.

Taste of Cherry, dir. A. Kiarostami (Iran, Francia, 1997).

    Così come non conosciamo i moventi che conducono Badii a volersi uccidere, non sappiamo se il gesto estremo abbia davvero avuto luogo.² Kiarostami ci priva dunque degli indizi necessari per ricostruire pienamente la vicenda, con l’intento di dar vita a open images,³ immagini ambigue che elevano lo spettatore a co-creatore della pellicola. Secondo questa logica, la storia costituisce solo un imput per la produzione di paratesti da parte del pubblico e il film, perciò, non risulta confinato entro il suo spazio diegetico, ma vive, si estende e si rifrange continuamente nella mente di chi lo guarda. L’incertezza del film consiste anche in questo: nell’inefficacia di uno sguardo che si limita a ciò che vede o a ciò che presume di vedere.
    Il discorso di Bagheri, il tassidermista turco che alla fine accetterà l’incarico propostogli da Badii, sembra andare in questa direzione: si tratta di iniziare a mutare il raggio e la direzione del proprio sguardo sulle cose. Non è una questione, qui, di mero edonismo né di semplice metafisica, quanto di rendersi conto del fatto che ciò che sentiamo e percepiamo è in parte il frutto di un lavoro di proiezione psicologica.
Prendere distanza da se stessi, in particolare dalle proprie emozioni e dai propri ragionamenti, può servire a scalfire l’apparente monoliticità del vissuto. Dopo il dialogo con Bagheri, l’unico in cui non emerge l’asimmetria (anagrafica, sociale, economica) tra Badii e i suoi interlocutori, il protagonista sembra infatti effettivamente mutato: poco dopo aver lasciato il tassidermista nel suo luogo di lavoro, Badii lo raggiunge correndo e in preda all’ansia, per accertarsi che Bagheri, la mattina seguente, eseguirà quanto concordato. Ma non solo: gli chiede di scuoterlo e di lanciargli delle pietre nel caso ce ne fosse bisogno.
    L’incontro con Bagheri, dove l’incertezza (quantomeno quella visibile, espressa) del protagonista raggiunge il suo apice, si chiude con una soggettiva di Badii intento a guardare un cielo dalle sfumature azzurro, grigio e ocra, attraversato da una quasi profetica scia di condensazione di un aereo che taglia obliquamente e in due parti asimmetriche l’inquadratura, quasi volesse segnalare il punto di non ritorno del protagonista e del film in generale, tant’è che nella sequenza successiva lo vediamo passeggiare in apparente serenità lungo un punto panoramico in cui è visibile Teheran dall’alto. Da un punto di vista cromatico (ocra e rosa predominano), questa è forse la scena che più trasmette pace. Ancora una volta, non siamo certi di come vada interpretata: l’immagine, con queste determinate proprietà visuali, vuole forse suggerire un cambio di rotta del protagonista rispetto al proposito suicida oppure, e in maniera più convenzionale, ripristinare il topos della “quiete prima della tempesta”? Non lo possiamo stabilire con certezza.

² Cardullo fa notare come non solo non sappiamo se il protagonista si sia ucciso, ma non sappiamo nemmeno se abbia tentato di farlo, perché non lo vediamo ingerire i sonniferi. Vedi: Cardullo, Bert, “Suicide Is Painless.” The Hudson Review 52, no. 2 (1999): 297–304, DOI: https://doi.org/10.2307/3853423, p.303. La scena in cui Badii si dispone nel proprio luogo di sepoltura potrebbe anche essere una rehearsal che fa pendant con il sostrato metacinematografico del film.
³ Il concetto di open image è centrale negli studi su Kiarostami e utilizzato, apertamente o meno, da molti studiosi. Laura Mulvey, per esempio, parla di uncertainty principle. Vedi: Mulvey, Laura, “Kiarostami’s uncertainty priciple” Sight and Sound, Jun 01, 1998, 24, DOI: https://www.proquest.com/magazines/kiarostamis-uncertainty-principle/docview/1305511460/se-2.
Erickson sottolinea infatti che il paesaggio del film è realistico ma allo stesso tempo un rispecchiamento della psiche di Badii. Vedi: Erickson, Steve; Review: Taste of Cherry by Abbas Kiarostami. Film Quarterly 1 April 1999; 52 (3): 52–54. DOI: https://doi.org/10.2307/1213826.
Lungo il corso del film notiamo diversi presagi: dai corvi che si librano nel cielo all’ombra di Badii proiettata sul muro del sito di costruzione, dove un’altra ombra, quella della benna dello scavatore, si sovrappone a quella del corpo di Badii dando l’illusione di una sepoltura “espressionista’’ dello stesso. La scia di vapore nel cielo, se posta in continuità con questi presagi, sembrerebbe essere indice di ineluttabilità, costituendo però un paradosso nella misura in cui ciò si scontra con la serenità cromatica dell’inquadratura. Gli ultimi presagi riguardano invece l’atto finale del film prima della coda: tuoni, pioggia, lampi e nubi che coprono la luna, in grado di dare vita ad una sequenza al contempo simbolica e naturalistica.

Taste of Cherry, dir. A. Kiarostami (Iran, Francia, 1997).

   Ciò che esperiamo, in ogni caso, è un cambio di tono del film nella sequenza successiva: vediamo Badii (o meglio la sua ombra proiettata) da dietro le tende della sua casa in stato di agitazione. Si prepara per recarsi verso il luogo di sepoltura, contrassegnato da un piccolo albero che durante il film funge da appiglio orientativo rispetto all’ipnoticità dei viaggi in macchina con i diversi passeggeri. L’atmosfera notturna è noir e a tratti horror: i tuoni, i latrati che si sentono in lontananza e le nubi che attutiscono la luce lunare sembrano incorniciare e preannunciare la tragedia, eppure l’ultimo frame non ci svela nulla. Dopo un primo piano sul volto concentrato e tutto sommato sereno di Badii (una serenità che sgorga dalla convinzione), all’interno del buco sepolcrale illuminato dalla luna, lo schermo diventa nero e non ci resta che fare affidamento all’udito: sentiamo la pioggia che inizia a cadere e ancora alcuni latrati e tuoni a distanza. Ciò che segue è la famigerata e controversa coda del film, che chiede nuovamente allo spettatore di accettare un cambio di tono. Questa volta però non si tratta semplicemente di passare dalla secchezza cromatica delle sequenzealla ben più distesa, molle e fresca notte del finale,⁷ ma di accettare qualcosa che per molti appare come una presa in giro: la troupe del film, inclusi Badii e Kiarostami, intenta a registrare alcuni suoni da inserire, poi, in post-produzione.

L’aridità cromatica è propria di tutte le sequenze fino all’incontro con Bagheri, dove invece qualche sprazzo di verde si inizia a vedere, conferendo sollievo alla vista e alla mente dello spettatore.
Sull’impiego del colore e sul non-orientalismo del film rimando a: Weber, Alan S., ‘‘Michael Powell’s The Thief of Bagdad and Abbas Kiarostami’s A Taste of Cherry: Two Faces of Orientalism”. Acta Universitatis Sapientiae, Film and Media Studies Sapientia Hungarian University of Transylvania, 6, no. 1 (2013): 91-108. DOI: https://doi.org/10.2478/ausfm-2014-0006.

Taste of Cherry, dir. A. Kiarostami (Iran, Francia, 1997).

    Nonostante le comparse ridano e scherzino tra di loro, l’atmosfera è tutt’altro che allegra. A comprometterne la gioia, oltre alla versione jazz di una marcia funebre a cura di Louis Armstrong, è la bassa risoluzione delle immagini,⁸ che conferisce un tono grottesco all’insieme. Per un’ultima volta, lo spettatore non è certo del senso di ciò che sta vedendo ma, soprattutto, retrospettivamente, di tutto ciò che ha visto fino a quel momento. L’impressione è che non sia semplicemente una mossa metacinematografica che disinnesca la gravità e la tragicità della storia, ma una sorta di messa in questione del rapporto tra fictional e non-fictional.⁹ Se utilizzassimo la metodologia proposta da Mitchell,¹⁰ potremmo chiederci: che cosa vogliono, qui, le immagini? Non si tratta quindi di interrogarsi su che cosa vogliamo noi spettatori (nella maggioranza dei casi, forse, una chiusura standard della storia) né che cosa vogliano gli elementi presenti nell’immagine, perché a quel punto dovremmo arrenderci al senso di cameratismo, alla gioia e alla serenità della troupe; ma nemmeno dobbiamo chiederci che cosa voglia il regista, perché in quel caso avremmo ancora meno certezze. Ciò che vogliono le immagini, qui, è proprio di provocare nella mente dello spettatore una riflessione sul modo di interpretare un’immagine, sul senso da attribuirle laddove il senso non è esplicito. Ci chiedono insomma di interrogarci sulle motivazioni che stanno dietro alla nostra sensazione di fastidio o di gioia nel visionare la coda del film, sul perché sentiamo il bisogno di volere che questa sia una prosecuzione lugubre della storia oppure un modo per distanziarsene, rompendo la magia e il fascino che caratterizzano gli universi di finzione, magia e fascino già perfettamente incarnati in quella frase: «Mr. Badii… Mr. Badii».

⁸ Sarebbe  interessante affrontare il problema del cambio di risoluzione del film nei termini della Visual Meteorology proposta da Somaini e edificata sulla base della distinzione tra Hot media e Cool media introdotta da McLuhan in Understanding media e The Medium is the Massage. Applicando questa cornice teorica al film di Kiarostami, ricaviamo che esso subisce un drastico mutamento termico nella coda: le immagini si raffreddano repentinamente, ovvero vengono a mancare di una quantità considerevole di informazioni che sarà poi lo spettatore a dover integrare. Lascio immaginare al lettore le molteplici conseguenze epistemiche di questo discorso. Vedi: Somaini, Antonio, ‘‘Visual Meteorology: le diverse temperature delle immagini’’ in Meduini, Enrico, Marmo, Lorenzo (a cura di), Fotografia e culture visuali del XXI secolo, Romatre-press: Roma, 2018, pp. 31-52.
⁹ La coda del film è stata oggetto di dibattito, Cfr. per esempio Erickson op. cit. e Mulvay op. cit.
¹⁰ Il riferimento è chiaramente al celebre Che cosa vogliono le immagini? in Teorie dell’immagine. Il dibattito contemporaneo, a cura di A. Pinotti e A. Somaini, Cortina, Milano, 2009, pp. 99-133.

Bibliografia

Orgeron, Devin. “The Import/Export Business: The Road to Abbas Kiarostami’s Taste of Cherry,’’ (2002), January, 46.

Cardullo, Bert. “Suicide Is Painless.” The Hudson Review 52, no. 2 (1999): 297–304, DOI: https://doi.org/10.2307/3853423.

Mulvey, Laura. “Kiarostami’s uncertainty priciple” Sight and Sound, Jun 01, 1998, 24, DOI: https://www.proquest.com/magazines/kiarostamis-uncertainty-principle/docview/1305511460/se-2.

Erickson, Steve. Review: Taste of Cherry by Abbas Kiarostami. Film Quarterly 1 April (1999); 52 (3): 52–54, DOI: https://doi.org/10.2307/1213826.

Mitchell, W.J.T. “Che cosa vogliono le immagini?”, in Somaini, A., Pinotti, A. (a cura di), Teorie dell’immagine. Il dibattito contemporaneo,  Cortina, Milano, 2009, pp. 99-133.

Weber, Alan S. “Michael Powell’s The Thief of Bagdad and Abbas Kiarostami’s A Taste of Cherry: Two Faces of Orientalism”. Acta Universitatis Sapientiae, Film and Media Studies, Sapientia Hungarian University of Transylvania, 6, no. 1 (2013): 91-108, DOI: https://doi.org/10.2478/ausfm-2014-0006.

Aubke, Vivien. Taste of cherry (1997): Rerouting life with negotiated meanings, (2019), DOI: (PDF) Taste of Cherry (1997): Rerouting Life with Negotiated Meanings | Vivien Aubke – Academia.edu.

Ford, Hamish. Driving into the void: Kiarostami’s Taste of Cherry, DOI: (PDF) ‘Driving into the Void: Kiarostami’s Taste of Cherry’ | Hamish Ford – Academia.edu.

Somaini, Antonio. ‘‘Visual Meteorology: le diverse temperature delle immagini’’ in Meduini, Enrico, Marmo, Lorenzo (a cura di), Fotografia e culture visuali del XXI secolo, Romatre-press: Roma, 2018, pp. 31-52.

Aaron, Michele. ‘‘Cinema and Suicide: Necromanticism, Dead-already-ness, and the Logic of the Vanishing Point’’ in Cinema Journal, (Winter 2014), Vol. 53, No. 2, pp. 71-92, University of Texas Press on behalf of the Society for Cinema & Media Studies.

 

Maurizio Bauduino cerca qualcosa nell’arte ma non sa bene cosa. Anche lui non riesce a trattare delle rocce rosse lunari.