di Letizia Rigotto
Ok, va bene, ci riprovi. Ti risiedi alla scrivania, accendi il computer, ti circondi di libri famosi che ti mettano un po’ di giusta ansia, e cominci a pensare. Che nulla sia più avvilente di un foglio vuoto, con la tacchetta del cursore che ti lampeggia davanti, è cosa ben nota, ma comunque da qualcosa bisogna cominciare, e la prima parola è forse quella più difficile.
Abbiamo capito che il “metodo Bukowski” non funziona, o meglio, non funziona se vuoi di fatto produrre qualcosa di decente, mentre se vuoi farti un giretto fra le tue paranoie sei sulla buona strada, ma stavolta no, stavolta si lavora seriamente.
In assenza di alternative, ti costringi ad essere una persona seria e ti approcci al “metodo Manzoni”, certo, più uno sbattimento di balle, ma Manzoni nella storia c’è rimasto più di quell’altro, alla fine dei conti, anche se quell’altro deve essersi di certo divertito di più.
Dunque, serietà, costanza, attenzione per i dettagli. Ti metti in testa che se mai ti capiterà di dover descrivere anche solo una pianta, allora tu devi sapere tutto non solo di quella pianta, ma dell’intero mondo vegetale, così da non incastrarti mai in quelli che sono i piccoli errori tecnici di chi ha dato più importanza alla storia piuttosto che alla sua correttezza.
Anche se però sono stronzi, intendo quelli che gli errori tecnici te li fanno notare. Esempio: tu, dopo mesi e mesi che lavori ad un pezzo che un bravo scrittore avrebbe concluso in due ore, riesci finalmente a mettere il punto finale. Quattro facciate. Beh, dai, ci sono cose più brevi, poi magari se ingrandisci il carattere e aumenti l’interlinea potresti arrivare anche a sei, che fa già altra figura, perché se la scuola ti ha insegnato qualcosa è che sei è il minimo a cui bisogna puntare. Aumenti tutto quello che puoi aumentare, ti ritrovi con dei caratteri così grandi che anche tua nonna quasi cieca riuscirebbe a leggerli, stampi, perché alla fine rimani sempre lo scrittore di sinistra, e quindi sei per il cartaceo, e lo porti ad uno sfortunato amico che ha il compito di dirti cosa ne pensi.
“Bello, ma…”
Ecco, nella tua immaginazione ti sei già alzato e, dopo una potente cinquina di rovescio con anelli, te ne sei uscito con frasi ad effetto tipo “Tu non capisci la vera arte” oppure “Anche Shakespeare all’inizio non piaceva per niente”, ma, ripeto, sei di sinistra, dopo tutto il casino di Charlie Hebdo ti sei schierato per la libertà di espressione in tutte le sue forme, anche se magari dopo il terremoto di Amatrice e la battuta sulle lasagne all’italiana il punto di vista l’hai un po’ cambiato, e poi le critiche sono sempre costruttive, quindi stai lì, fermo, seduto, ad ascoltare i consigli del tuo amichetto.
“Qui sei incoerente, vedi, non è possibile che succeda questo dopo quello che è successo venti righe più su”.
Noti l’errore, ringrazi l’amico, gli dici che cambierai quel punto appena tornato a casa, anche se in realtà sai bene che non lo farai perché sticazzi era il punto più figo dimmi te se lo devo cambiare per un piccolo cavillo tecnico, poi te ne vai, leggermente insultandolo tra i molari, convinto di aver ragione, anche se forse forse forse se ti sei perso in venti righe la colpa è solo tua, ma lo stronzo rimane lui.
Comunque, dicevamo, metodo Manzoni: delinea la tua poetica, in modo che ti sia ben chiaro il messaggio ultimo che vuoi dare, costruisci il personaggio nei minimi dettagli, costruisci l’ambiente, la storia, individua i punti di rottura e di svolta della trama, stile, periodo storico e di che razza è il cane del protagonista, che quello è importante, e poi puoi pensare di iniziare a scrivere.
Sì, però, aspetta, metodo Manzoni. Parliamoci chiaro, il nostro caro Alessandro era un riccone di famiglia, che non ha lavorato un giorno in vita sua e che comunque ci ha messo vent’anni a finire quel popò di roba e che, nonostante tutto, non era ancora contento, non era riuscito a dare a quella benedetta Provvidenza la sfumatura giusta, anche se alla fine, ironia della sorte, la Provvidenza ha avuto il suo piccolo modo di vendicarsi facendolo morire in maniera assolutamente poco gloriosa, molto poco da un Alex Manzoni.
Ci pensi un po’, qual era quel programma? Ah sì, “Mille modi per morire”, una rubrica delle morti più stupide mai accadute, un monito che ti ricorda costantemente che l’Universo ha uno strano modo per prenderti per il culo, per ricordarti che non vali un cazzo, se alla fine basta un piccione in bocca per mandarti all’altro mondo, quando fino a pochi giorni fa probabilmente quel tizio prendeva in giro quei volatili dicendo “I piccioni potrebbero volare, ma se li rincorri si mettono a correre più velocemente, che animali stupidi!”. Beh, sarai intelligente tu che sei morto perché te ne è arrivato uno addosso.
Comunque sei convinto che se cerchi bene fra quelle mille morti ti trovi anche quella di Manzoni.
Ma insomma, Alessandro! Eri senatore, hai praticamente creato la lingua italiana e mi muori cadendo dalle scale, tra l’altro mentre stai andando in chiesa! Ma che morte è, ma che immagine di letterato vuoi dare, se muori così! Non per farti la predica, ma guarda Plinio il Vecchio. Quello sì che un modo figo di morire, fra le ceneri e la lava del Vesuvio, una morte da eroe, una morte da uno che aveva due palle così, e tu che fai? Cadi dalle scale? Mi deludi, mi deludi proprio Alessandro.
Insomma, concentrati, non tanto, venti minuti! Ti chiedo solo venti minuti! Metti a dormire la scimmietta che sbatte i piattini nella tua testa e butta giù qualcosa! Qualsiasi cosa! Mi va anche bene se scrivi “CULO” in mezzo al foglio, ma fai qualcosa perdindirindina!
Ok, ok. Si va con ordine: delineare la poetica è la cosa più difficile, e non si è ancora capito se sia importante fino in fondo o no, perché ti trovi quelli che, dopo aver letto la Pimpa, ti dicono “E’ solo una semplice storia” e quelli che invece ti dicono “Il significato intrinseco della storia sta nella visione di alienazione che se ne ricava ponendo sotto un’attenta analisi la sedia su cui si siede il protagonista”, quindi magari per ora la lasci da parte, pensando fra te e te che sì, dai, ci tornerai dopo, ma sapendo in realtà che è un modo carino per dire ma chi te se incula.
Va bene, allora, vai con il personaggio: donna, uomo, ragazzo, bambino, donna che si sente uomo, uomo che si sente donna, ragazzo in crisi precoce di mezza età che si sente bambino, bambino già prematuramente consapevole che si sente donna che si sente uomo in crisi di mezza età che si sente bambino, ragazza che non si sente uomo, ma dice “Io sono uomo”. Insomma, se vai dietro al politicamente corretto preparati a fare un’edizione critica con note ben precise, perché altrimenti non ne esci.
Guardi l’orologio, è passata un’ora, butti lo sguardo verso il foglio, vedi solo una scritta:
Nome personaggio: Cletovio.
Vabbè, basta, mi arrendo.