di Biagio Sartori
È una cattedrale romita,
di pini e sangue d’abete,
l’ultimo apocrifo che aspetta
sul sale arrostito della
dolomia, amante
del Dio dei falchi.
Siamo rimasti soli,
rammemoratori di immemori,
mentre busso al termine della notte
quando il buio agonizza
sulle piane iridate
da uomini all’asta
per veicoli d’utilità sportiva.
Ci siamo uccisi ciascuno
per conto suo,
mio fratello ed io,
ora siamo qui,
nessun altro ha mai visto
il sentiero dietro la cima,
dove ci si può fermare
all’ombra della croce,
lasciare che l’anima
fugga e s’avviluppi
fra l’erba tagliente e i rovi.
Non è la morte, non ora,
ma una nostalgia di ipotesi,
prati di cenere, forse il ricordo,
gonfiano la favola sfilacciata
d’un vecchio padre in esilio,
riempiono d’oscurità ventrale
ogni strappo nel cielo.