di Letizia Rigotto
Introduzione
Nel 1972 veniva pubblicato il romanzo di Calvino “Le città invisibili”, una riscrittura de “Il milione” in cui il viaggiatore Marco Polo descrive all’imperatore dei tartari Kublai Khan tutte le città che gli è capitato di visitare. Andando avanti nella lettura, ci si rende conto che in tutte le città il viaggiatore descrive qualcosa della sua città natale, Venezia, e che è appunto Venezia il modello da cui deduce tutte le altre, confrontando differenze e analogie. Ho deciso di riprendere questo aspetto per le descrizioni delle mie città, convinta che quasi mai una città la si veda con occhi sterili, ma sempre contaminati dal luogo da cui veniamo. Di fatto, ogni città, benché diversa dalle altre, è una diversa descrizione sempre della stessa.
Questo è il pensiero che vi è alla base, ma mi sembra giusto specificare che non c’è nessun intento di mettersi in competizione o tanto meno di plagiare un’opera ben maggiore della mia, non ne sarei per nulla in grado e tanto meno ne avrei voglia, quanto rendere omaggio ad un libro che, nella mia opinione, è grande non per le storie che racconta, quanto per l’eterna ispirazione che provoca in chi lo legge.
Leggendo le descrizioni di Ottavia, di Zoe, di Aglaura, di Trude e di tutte le altre, mi è venuto il desiderio di provare a cimentarmi con lo stesso argomento, che ho notato lasciare spazio alla fantasia più di tanti altri.
Queste piccole descrizioni non sono altro che il risultato di questo tentativo, e come tale vanno prese, senza arroganza o emulazione, poi ognuno è libero di pensarla come vuole.
CALLISTO
Callisto è una città che risulta sempre familiare ad ognuno, eppure è uguale per chi la vive da sempre e diversa per le persone che vi si trasferiscono, così che ad autoctoni e forestieri sembra di vivere in due città distinte, e solo un viaggiatore di passaggio può coglierne per un attimo la vera forma.
Questo perché Callisto si genera e si costruisce sui ricordi dei suoi abitanti, e chi vi vive non sa mai con certezza se esiste veramente o se è il prodotto del ricordo di qualcun altro, e capita dunque che le donne ricordino tutte la donna amata, per un gesto, un intercalare o un modo di camminare, e finisce che, benché siano tante, ci si innamori sempre della stessa. I luoghi più belli sono quelli meno significativi: un bar, un vicolo, un sottoportico o una terrazza, e giorno dopo giorno le luci li colpiscono sempre nello stesso modo, in un’eterna primavera, così che agli abitanti non servono più gli orologi, ma seguono l’andamento del sole sulle facciate dei palazzi.
A Callisto i treni o arrivano o partono, ma non transitano, e per tutto il giorno sulle banchine si affollano madri, padri, amici, sorelle, fratelli, mogli e mariti che salutano in lacrime i loro cari la mattina e li riaccolgono in lacrime la sera stessa. E le strade sono sempre piene, ma mai affollate, e ogni sera sembra una sera di festa, poiché tutti i locali spostano i tavolini e le panche all’esterno. La strada si popola man mano che la si percorre e ci si incontra sempre le stesse persone, prima a bere birra in un vicolo e poi a fumare discutendo ad un altro bar, e ad ogni angolo sembra che queste riappaiano in altre occupazioni, come se fossero sempre state lì, e chi passa le saluta con la stessa allegria con cui le ha salutate qualche centinaio di metri prima, come se le vedesse per la prima volta.
A Callisto non cambia mai nulla, ma tutto si evolve e si arricchisce, e così capita che una statua un giorno abbia due braccia e il giorno dopo quattro, tutte diverse fra loro, e che un palazzo sia in una parte bianco, nell’altra rosso e nell’altra verde, e benché ogni giorno ci sia qualche particolare diverso, chi la vive giura che è sempre stata così.
Le strade si accorciano se chi le percorre vuole arrivare a casa presto e si allungano quando un uomo sta riaccompagnando a casa una ragazza, le piazze si allargano e si restringono, eppure a Callisto è impossibile perdersi o sentirsi spaesati, e i suoi abitanti riuscirebbero a raggiungere qualsiasi luogo anche con gli occhi chiusi.
A Callisto non c’è un momento di tristezza. Ogni giorno si svolge uguale a quello precedente e a quello successivo, eppure ad ognuno sembra di viverlo per la prima volta. La città si adatta ai desideri dei suoi abitanti e cambia insieme a loro, in apparenza in un eterno stato di perfezione. Solo una è la pecca: chi ci nasce non conosce nient’altro che quello, e nato sotto il ricordo dei medesimi avvenimenti, non avendone costruiti dei propri, non fa altro che rivivere i ricordi degli altri all’infinito, così che, prima o poi, Callisto, sempre uguale a se stessa giorno dopo giorno, muterà in tutt’altra città senza che nessuno se ne renda conto.